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Andrea Alessio Photographer

PRESS



Sunday 15 June 2014
06/15/2014: 
Before You, Santa Claus, Life Was Like a Moonless Night published on FOTOUP

Intervista ad Andrea Alessio

Intervista

L’autore veneziano, che ha inaugurato la sua mostra l’8 Novembre, è il primo autore italiano ad essere pubblicato dalla casa editrice americana Nazraeli Press. La monografia Before You, Santa Claus, Life was like a Moonless Night, a cura di Micamera, è uscita in occasione dell’inaugurazione.
La mostra durerà fino al 7 dicembre 2013 e sarà accompagnata da una selezione dei volumi più noti usciti negli ultimi 10 anni per Nazraeli Press.

di Francesca De Fabritiis

Ciao Andrea, parlando della fotografia in termini generali, l’incontro con questo mondo è stato fortuito oppure è frutto di una scelta consapevole?

È stata un’illuminazione, mettiamola così. Arrivata presto, perché avevo quattordici anni quando ho scoperto il significato che la fotografia aveva per me. Presi in mano la macchina fotografica durante un’escursione in montagna con mio padre e da quel momento non l’ho più abbandonata.

Non ho frequentato scuole, però ho fatto di tutto per rimanere in contatto con la fotografia; tant’è vero che ora ho uno studio fotografico. Ho frequentato comunque diversi corsi tecnici e workshop. In primis, ho cominciato a fare corsi di camera oscura, ho imparato sviluppare, a stampare, poi qualche corso – all’epoca non ce n’erano molti – di lettura delle immagini. Ho iniziato, poi, a partecipare ad alcuni concorsi e a cercare di capire che tipo di fotografia mi interessava maggiormente: il mio obiettivo fondamentale è sempre stato la fotografia di ricerca.

Il mio primo progetto, sviluppato poco dopo i vent’anni, è Un_natural Bestiary; con quelle foto ho partecipato a diverse mostre, ad esempio Diaframma, sono state esposte presso la Galleria dell’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e sono presenti in qualche catalogo ma sono state pubblicate solo dopo svariati anni. È stato proprio uno dei miei primi progetti ma all’epoca non avevo minimamente pensato ad un libro.

Riguardo al tuo ultimo lavoro, come ci si sente ad essere il primo autore italiano ad essere pubblicato da una casa editrice americana?

Allora, chiaramente è stata una grandissima soddisfazione. Il senso della vera importanza dell’evento l’ho percepito quando, guardando sul sito della casa editrice, negli upcoming titles, ho letto il mio nome vicino a quello di alcuni “mostri sacri” come Jim Goldberg, Richard Misrach, Dan Solomon e così via. Quello è stato il momento in cui mi sono realmente reso conto del risultato di due intensi anni di lavoro. Credo che, progressivamente, gli sforzi vengano ripagati.

Com'è avvenuto il tuo incontro con Chris Pichler?

Allora, l’incontro con Nazraeli press, più che con Chris, è avvenuto grazie a Micamera. È stata, infatti, Giulia Zorzi che ci ha messi in contatto e ha creato questa grande occasione. Si può affermare che la mia rinascita fotografica è avvenuta grazie a Micamera e all’intervento di Giulia perché ho cominciato a frequentare da loro, nel 2012, una serie di workshop che mi hanno aiutato molto a perfezionare l’idea di qual è la mia fotografia e di che cosa volevo ottenere. Da questa esperienza poi, è nata anche un’amicizia e ho ricevuto un grande sostegno sia per quanto concerne quest’ultima ricerca che adesso si è trasformata in libro, ma anche per quello che riguarda tutta la mia attività in generale. Giulia ha organizzato questo evento per festeggiare i dieci anni della galleria lavorando a questo progetto insieme a me.

Il vero incontro con Chris è avvenuto qualche giorno prima della mostra in quanto, fino a quel momento, abbiamo sempre lavorato a distanza. Ne sono rimasto molto contento perché lui era assolutamente soddisfatto del lavoro. Chris è un editore che crede fortemente in ogni libro che crea: se un progetto non gli piace non lo pubblica. Ancora di più, nel mio caso, questo lavoro gli è stato proposto, non è stato lui a sceglierlo in prima battuta, come fa abitualmente; dunque, la soddisfazione è ancora maggiore.

Ho notato che tutti i tuoi lavori sono molto diversi uno dall’altro. La scelta del tema o del soggetto avviene in modo aleatorio oppure è frutto di un particolare studio o ricerca, come dicevi tu poco fa?

In realtà i progetti non sono molto diversi, nel senso che credo esista un minimo comun denominatore. Anzitutto, esiste un amore e un rispetto per la fotografia come strumento di comunicazione e poi la possibilità di creare immagini a vari livelli. Il soggetto, a volte, è semplicemente una scusa per lavorare sul concetto di fotografia personale. Ti faccio degli esempi: Un_natural Bestiary è, sì, un lavoro sugli animali ma soprattutto sulla tematica della fotografia in generale. Ha un risvolto metaforico.

Solitamente la fotografia è considerata portatrice di un certo grado di verità, nel senso che l’oggetto fotografato viene ritenuto vero, esistente. Non a caso la fotografia è usata per le carte d’identità, dall’800 è utilizzata come strumento di riconoscimento. Se una cosa è stata fotografata vuol dire che è vera, che è successa, è un sinonimo di testimonianza. Il lavoro sugli animali gioca invece sull’ambiguità. Senza le didascalie, non si hanno riferimenti, si resta spiazzati perché non si riesce a distinguere il vero dal falso: l’animale vivo da quello impagliato.

Mi piace giocare su questo livello di messa in discussione della fotografia. Se poi si prende che, per definizione, l’inquadratura, che è una delle caratteristiche del linguaggio fotografico, la si può omologare ad una gabbia, ad un chiudere una situazione, una realtà, all’interno di qualcosa, ecco che le gabbie degli animali diventano una metafora; così ci sono alcuni animali che cercano di uscire dalla gabbia e quindi dall’inquadratura e viceversa. L’ambiguità del bianco e nero sottolinea, poi, le continue differenze tra vero e falso. La scelta, in questo caso, è ricaduta sugli animali poiché lo consideravo un terreno adatto per compiere questo tipo di ragionamento.

Passando invece a Before You, Santa Claus, Life Was Like a Moonless Night, l’ultimo lavoro, si ritrova sempre il tema dell’ambiguità, della presenza di più significati. Ad esempio, nella prima foto del libro, quella con la scritta a rovescio, è la luce che scrive; l’ambivalenza sta proprio nella contrapposizione tra la scritta di luce e la luce stessa che scrive il paesaggio, perché unico elemento che ne permette la visione. Il soggetto, anche in questa circostanza, è uno dei livelli di possibile lettura delle immagini.

Di conseguenza, ciò che accomuna tutti i miei progetti è una ricerca sul linguaggio fotografico, sulla possibilità di offrire una decodificazione sempre differente; il primo soggetto non è mai quello rappresentato ma è la fotografia stessa. Come in un romanzo esistono vari livelli di significato e di comprensione che si intrecciano e si aggiungono di volta in volta, così nei miei lavori cerco sempre di evidenziare diverse interpretazioni.

Oltre a tutto questo discorso si mescola anche una buona dose di caso e, naturalmente, le situazioni che attirano di più l’attenzione dal punto di vista personale.

Dunque, l'ultimo lavoro, com'è nato?

Allora, la prima foto che ho scattato è l’ultima del libro, quella dell’albero di Natale. L’ispirazione è derivata da quell’immagine; la vedevo tutti i giorni tornando a casa dal lavoro, e ad un tratto, mi sono fermato e ho tirato fuori la macchina fotografica per immortalare quella scena. Come sosteneva anche Italo Calvino, la fotografia è un attimo, quindi è necessario fermarsi, soprattutto perché ti permette di guardare le cose di tutti i giorni con occhi diversi. La fotografia per me diventa uno strumento valido per indagare la quotidianità, osservarla rompendo gli automatismi derivati dall’abitudine e dalla routine che spesso ci esula dal soffermarci a guardare in profondità.

Da quella sera, ho cominciato ad esplorare la notte in modo differente. Non solo guardando quello che mi circondava tutti i giorni ma andando anche in cerca di situazioni interessanti. Quindi all’inizio si è trattato uno stimolo suggerito dall’atmosfera, dalle luci sparse nel buio del paesaggio e durante la seconda fase – il lavoro è durato tre anni in totale, ho raccolto materiale derivante da tre Natali diversi – ho cominciato a girare nelle zone industriali e rurali del Veneto, per andare in cerca di spunti, di livelli nuovi di lettura pur mantenendo un filo conduttore del progetto: le luci che appaiono in un determinato momento dell’anno, quello natalizio.

Perché hai optato per la luce artificiale?

Volevo capire cosa sarebbe successo se avessi utilizzato delle luci non naturali in una condizione di buio totale. Nell’immagine, infatti, ci doveva essere sempre un riferimento al fatto che il paesaggio che avevo davanti si manifestava esclusivamente grazie ad una luce artificiale ben specifica, ovvero quella data dalle decorazioni natalizie.

Il titolo, invece, da cosa deriva?

Il titolo è stato un’idea di Giulia Zorzi. Anche in questa occasione, volevamo aggiungere un nuovo livello di interpretazione; le immagini suscitano, a seconda del vissuto e del bagaglio personale di ognuno, delle reazioni totalmente differenti le une dalle altre. Praticamente agli antipodi. C’è chi vede soltanto il lato documentaristico, quindi chi riconosce, non so, il fatto che siano state scattate nella zona industriale, rurale del veneto in un dato momento, oppure chi si identifica maggiormente nel livello poetico scaturito proprio dall’atmosfera natalizia. A mio parere, il tema del Natale è un potente conduttore di emozionalità diverse: può veicolare sensazioni positive o ripercorrere momenti cupi nei quali il mood che prevale è più solitario e defilato. Dipende da chi guarda.

Ho scelto volutamente di non apporre didascalie perché in realtà non mi interessano, non è fondamentale il luogo dello scatto ed il tempo, più che altro sono affascinato dal concetto di immagini come macchie di Rorschach: ognuno ci vede dentro quello che vuole, che sente. Il lavoro è stimolante proprio quando ha la facoltà di provocare delle reazioni completamente disparate, è creare input in chi osserva.

Che tipo di macchina e di obiettivo usi solitamente e quali hai utlizzato per Before You, Santa Claus, Life Was Like a Moonless Night?

Partendo dall’ultimo lavoro, il progetto è stato interamente realizzato con Canon EOS 5D Mark II e Mark III e con un unico obiettivo: il TS-E 45 mm.
Normalmente uso vari tipi di attrezzatura, ad esempio, Nikon D800, Phase One, Canon, dipende sempre dalla situazione.  
Published on Sunday, June 15, 2014